brani
tratti da: Giuseppe Morazzoni, Michelangelo Pasquato - Le
conterie veneziane - ed. Società Veneziana Conterie
e Cristallerie, Venezia, 1953
<< G. Morazzoni – Le conterie veneziane dal
secolo XIII al secolo XIX (p. 7): CONTERIE? Che cosa sono?
Qual'è l'etimologia di questo termine dal sapore aritmetico?
La Crusca, il grave consesso accademico, lento ma che sempre
«il più bel fiore ne coglie» ci illumina
e persuade: le conterie sono «quella specie di gentili
lavori, a varj colori, per uso di collane, corone e simili ornamenti.
Probabilmente dal latino comptus, adorno, ornato». C'è
però chi sostiene che quella denominazione derivi dall'uso
che della conteria fecero e pare fanno ancora, i così
detti popoli incivili e barbari che se ne servono come di moneta.
L'antico Egitto, 1'Ellade e gli Etruschi, Roma Repubblicana
e Imperiale colle loro antiche e bellissime conterie nella materia,
nelle forme e nell'uso tanto simili alle muranesi, consigliano
di accogliere la definizione etimologica dell'Accademia fiorentina
che in questo caso ci offre anche un fiore delicatissimo.
M. Pasquato – L’industria delle conterie nel
novecento (p. 77): Sul finire dell'Ottocento l'industria
delle conterie, come abbiamo già visto dalla storia,
per sua natura periodicamente soggetta ad alternative di splendore
e di squallore, nella nostra Venezia e a Murano si presenta
ancora vitale, esercitata da fabbriche operanti con onore in
ogni sua specialità e quel che più importa, nell'impiego
della sua mano d'opera e persino nella denominazione delle sue
varie mansioni conserva le tradizioni secolari vigenti sotto
la Serenissima Repubblica. Gli operai delle fornaci per la produzione
della canna per conterie sono ancora riuniti in «mute»
composte ciascuna da sette elementi; i «maestri»,
scagneri o serventi, sono ancora tratti dalle vecchie dinastie
vetrarie che per questa categoria non consentono l'accesso ad
operai che non discendano dai secolari ceppi muranesi.
Anche i salari si suddividono fra i vari componenti le «mute»
in determinate proporzioni, secondo le vecchie consuetudini:
la parte principale ai maestri, il resto suddiviso fra i comuni
«tiracanna».
La scienza e la tecnica dopo i progressi realizzati in modo
particolare dai pionieri muranesi dell'Ottocento, non sono certo
disprezzati, tuttavia nell'industria sopravvive un certo empirismo,
frutto in parte delle utili esperienze del passato e in parte
alimentato dalla riluttanza delle maestranze ad accogliere senza
un lungo e ben esperimentato controllo tutto quanto è
in antitesi o modifica la tradizione; questo non per un ostinato
e cieco attaccamento alle regole codificate del tempo, ma per
una misteriosa facoltà delle maestranze muranesi a risolvere,
specie nel campo estetico, complessi problemi con sue geniali
trovate, che spesso raggiungono effetti lungamente perseguiti
nel silenzio del gabinetto delle ricerche. Il muranese considera
buona norma non scostarsi troppo dalle vie battute dai padri
perchè in pieno Novecento, a somiglianza degli antenati,
in lui vibrano malie che solo Venezia può rendere efficaci.>>
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brano tratto da: Giovanni
Mariacher - Il vetro europeo dal XV al XX secolo
- ed. Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1964, pagg.
38-40
<< Applicazioni delle paste vitree: le conterie, il mosaico
Un capitolo a parte costituiscono, nella storia delle tecniche
vetrarie, le paste vitree a colore usate per impieghi diversi
da quello dei vetri cavi. Rientrano nelle categorie delle paste
vitree, anzitutto, le conterie. La loro preparazione
nasce dalla canna tirata, sia massiccia, sia con foro interno.
Benché nella tradizione più recente la parola serva a indicare
entrambi i tipi, in origine essa veniva applicata alle perline
ottenute dalle canne chiuse. Il significato della parola non
è pacificamente chiarito: secondo alcuni dovrebbe derivare da
"contare" perché si dice che delle perle si facesse
moneta di scambio presso alcuni popoli primitivi. Ma forse ciò
nasce in gran parte da leggenda e letimologia meglio si
spiega dal latino "comptus" (ornato) poiché le perle
erano destinate ad ornamento. Il termine più usato in antico
era quello di margarite (pure dal latino, con significato
di perla). I Veneziani si ispirarono dapprima (sec. XIII) alla
produzione dellEgitto faraonico, dove lindustria
delle perline di smalto vitreo colorato era largamente diffusa,
come si può vedere dai resti pervenutici: collane, braccialetti,
spille e monili diversi. Sulla laguna si fabbricavano le conterie
lavorandole con una fiammella (donde anche la denominazione
"alla lume"). Le lavorazioni adottate dai Muranesi
erano di due tipi: quella soffiata alla fiamma, che era prerogativa
degli artigiani chiamati appunto "suppialume" e quella
eseguita con uno strumento che assomiglia allo spiedo (per questo
detta "a speo"): le perle così infilate si riscaldavano
nella fornace, per arrotondarle nella forma adatta. Esistevano
quindi a Venezia due categorie di artigiani, rispettivamente
denominate dei "suppialume" e dei "paternostreri".
Paternostri erano detti i grani di rosario, che ovviamente
dovevano essere forati. Ricordiamo per inciso che la lavorazione
alla fiammella (ad olio e sego, poi a gas, a partire dalla metà
circa del secolo scorso) serviva anche per modellare nelle paste
vitree (lattimo o vetro colorato) piccolissimi oggetti, fiorellini
per ornamento, piccole figure da presepi, teatrini, centri da
tavola. Tale lavorazione tipicamente veneziana si diffuse anche
altrove, ad esempio in Francia (Nevers) e in Germania (Norimberga)
nel secolo XVIII.
La fabbricazione delle perle vere e proprie o margarite
si faceva dopo aver tagliato in piccolissimi pezzi la sottile
canna forata, riscaldando a fuoco non troppo forte (a riverbero)
i pezzi stessi entro unapposita padella di rame, che i
Muranesi chiamavano "ferrazza". Col procedimento moderno
le canne, stirate e già forate nella prima fase della lavorazione,
vengono dapprima ridotte a segmenti di uguale lunghezza, cioè
di circa un metro. Selezionati secondo i loro diametri, tali
segmenti passano poi ai tagliatori che li sezionano in minuti
pezzi, arrotondati in un forno di riscaldo dopo essere stati
provvisoriamente otturati con una polvere mista di carbone e
calce, onde evitare il chiudersi del foro. Lultima fase
è quella di rifinitura e pulitura (detta lustratura). Tutte
le fasi sopra descritte avvengono oggi con mezzi meccanici,
compresa la selezione e lo scarto degli elementi non riusciti
o privi del foro; cioè delle perle "cieche" che vengono
rifuse e in tal modo riutilizzate. Per questa industria, che
effettua larga esportazione, esistono stabilimenti organizzati
secondo le applicazioni più diverse. Un avanzo del vecchio costume
si vede ancora a Venezia, nel lavoro normale di infilatura delle
perle, per farne matasse: lavoro affidato a donne che vi si
dedicano a domicilio e che sono chiamate "impiraresse"
(infilatrici). Le paste usate per le conterie sono dei più diversi
colori, e derivano sia dal comune vetro trasparente o colorato,
sia dagli smalti. Una particolarità si riscontra nelle
perle a due strati di cui per lo più quello interno (a Murano
chiamato "sottana") è opaco, laltro (detto "coperta")
è trasparente. Come in genere nei vetri a doppio strato, si
ottengono sfumature ed effetti di colore assai preziosi.>>
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brano tratto da:
Donatella Ciotti - Fiori e bonsai di perline - ed. Fabbri
Editori, Milano, 2002, pag. 6
<< Introduzione - Infiniti sono gli spunti alla
nostra creatività che ci possono venire da quell'incomparabile
crogiolo di forme e colori che è la natura. Ed ecco che
i fiori, da quelli di campo, semplici e gentili, a quelli più
sofisticati delle vetrine dei fiorai, e i bonsai, gli affascinanti
frutti che l'uomo, con pazienza e ingegno, ha saputo trarre
dalle piante comuni, diventano i superbi soggetti di questo
nuovo manuale di lavori con le perline.
Le perline, con la bellezza dei loro colori e l'infinita gamma
delle forme, sono fra i materiali più adatti a ricreare
il naturale aspetto dei capolavori che il Regno vegetale ci
dona con tanta dovizia. Le diverse tecniche di lavorazione,
forse già note ad alcuni, o che potrete facilmente apprendere
grazie alle dettagliate spiegazioni passo passo, vi concederanno
di dedicarvi con sempre maggiore perizia a questa appassionante
arte.
Moltissime, e tutte di sapiente eleganza, le proposte di queste
pagine, ma la pratica che a mano a mano acquisirete lavorando
vi permetterà di arrivare a una reinterpretazione personale
dei vari progetti, che porteranno nella vostra casa le freschezze
della primavera e i caldi colori dell'autunno.>>
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brano tratto da: Autori
vari - Perle e Impiraperle. Un lavoro di donne
a Venezia tra '800 e '900 - ed. Arsenale, Venezia, 1990, pag.
9
<< Cenni sull'arte delle conterie nella Repubblica
Veneta
Con il termine conteria si intendevano all'origine le sole
perle a lume la cui produzione si afferma a Venezia a partire
dal XVI secolo. Solo dall'Ottocento il termine fu esteso a tutte
le produzioni di perle in vetro. L'etimologia più probabile
del termine è da ricercarsi nel latino comptus, ornato,
attraverso il volgare contigia. Più suggestiva, anche
se più incerta, la derivazione dall'idea di conto, in relazione
all'uso che gli europei fecero delle perline di vetro come merce
di scambio nelle colonie.>>
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brano tratto da: Pauline
B. Marascutto, Mario Stainer - Perle Veneziane
- ed. Nuove Edizioni Dolomiti - Libreria Sansovino, 1991, pag.
97
<< Lavorazione delle conterie
Nella seconda metà dell'Ottocento con il termine generico di
conterie si comprendeva ancora ogni genere di perla di vetro,
così come si faceva nei secoli precedenti. In tempi più recenti
questa denominazione è andata sempre più riferendosi esclusivamente
alle perle ottenute attraverso lo sminuzzamento della canna
forata. Secondo l'abate Vincenzo Zanetti (1874) la parola deriva
dall'antico "contigia" che significa ornamento e si
riferisce all'uso di abbellimento della persona al quale le
perle sono destinate. Secondo Domenico Bussolin, invece, (1846)
conteria deriverebbe da "contare - contante" e si
riferirebbe alla funzione di moneta di scambio che le perle
avevano assunto presso alcuni popoli extraeuropei.>>
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brano tratto da: Giovanna
Poggi Marchesi - I Fiori di Venezia. L'arte
di realizzare fiori ed altre decorazioni con le perle di vetro
- ed. Mondadori, 1999, pag. 141
<<Glossario. Perle veneziane
Nome generico con cui si definiscono le perle in vetro prodotte
a Venezia. Rispetto al tipo di lavorazione si dividono in due
grandi categorie: le perle lavorate una ad una, modellate e
decorate a mano, generalmente di grandi dimensioni (almeno 1
cm), e le perline tutte uguali fra loro, generalmente di piccole
dimensioni, ottenute da una produzione seriale. Fra le prime
si trovano le perle a lume, le perle a rosetta,
i paternostri, le perle a vetro filato. Nella
seconda categoria troviamo le perline dette di conteria,
ottenute dal taglio meccanico di una lunga canna di vetro forato.>>
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